Dall’alto dei borghi medievali, terrazze naturali sull’Adriatico, lo sguardo si perde innamorato sulla distesa di sabbia nel suo contrasto col mare. Sugli arenili, purtroppo, le emozioni sono condannate al rovesciamento: nelle risacche delle nostre spiagge libere, infatti, non rotolano solo gusci di granchio e valve di conchiglie senza vita, ma anche i prodotti della disattenzione e dell’incuria dell’uomo. Plastiche, lattine e resti del lavoro della campagna e rifiuti di ogni genere invadono come come nuovi nemici la pianura balneare. E dagli arenili trasformati in sacrari di scarti, l’arte concepita come imitazione della realtà, trae fonte di tormentata ispirazione.
L’artista Henrica van Velzen, nelle sue passeggiate lungo la Riviera delle Palme e le foci dei fiumi della Bassa Marca, è rimasta impressionata dagli scarti dell’umanità diffusa. Ha raccolto campioni catalogandoli in contenitori di fortuna, cornici, a loro volta, del disfacimento. Per lenire la sua sofferenza e non limitarsi solo alla denuncia tout court, Henrica intraprende un processo di affinamento delle sue emozioni più ruvide e trasforma le visioni materiali in valori immateriali. Un processo di sublimazione che trasforma la preoccupazione egoistica in visione universale.
La sua ricerca estetica e il suo pensiero contemporaneo percorrono, dunque, un sentiero creativo che si distanzia dal puro compiacimento delle forme visive policrome per cercare un nuovo approccio al messaggio artistico che testimoni e storicizzi il percorso dell’uomo. E così intreccia con i suoi strumenti la tela di una nuova preistoria. Dagli scarti nascono nuove forme per comunicare l’ansia di fermare lo scempio sul quale spesso stende pietosa una mano di colore, il bianco, come sudario.
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